Pulizie spaziali

Si comincia dai rifiuti nelle orbite basse

Troppi rifiuti intorno alla Terra. Non è solo questione di impronta ecologica anche al di fuori della nostra casa comune, ma di sicurezza dei prossimi voli spaziali.

Le pulizie devono cominciare presto, e appena fuori l’uscio di casa. Di questo si è resa conto  L’Esa (European Space Agency, ESA) che, sotto la direzione di Luisa Innocenti, ha appena approvato Clean Space-1, la prima missione di recupero di rifiuti spaziali. La missione prova del progetto avrà come obiettivo un residuo di VESPA (Vega Secondary Payload Adapter), componente di un razzo Vega lanciato dall’Esa nel 2013 per rilasciare in orbita alcuni satelliti.


Clean Space
Clean space-1: la prima missione ESA di recupero rifiuti spaziali

Programmata per il lancio nel 2025, potrebbe essere la prima di una lunga serie di pulizie spaziali. L’Esa ha siglato un accordo con la startup svizzera ClearSpace che, in collaborazione con un consorzio di compagnie europee, guiderà la costruzione di un veicolo spaziale in grado d’intercettare e rimuovere materiale in disuso nella bassa orbita terrestre. 

Il veicolo, dotato di quattro braccia robotiche, dovrà  intercettare il satellite target.  Operazione non semplice poiché il detrito orbita a 720km sul livello del mare ad una velocità di 7Km/s: praticamente 25 volte la velocità di un aereo di linea sopra 2400 Torri Eiffel, che in novanta minuti fa il giro della Terra. 

Ciò che resta di VESPA ha una massa di 100kg ed è poco più larga di un tavolo da biliardo, ma non possiede elementi strutturali che ne facilitino l’aggancio. 

Recuperato il target, Cleanspace-1 lo rimuoverà dall’orbita percorsa fino a quel momento e lo accompagnerà nell’atmosfera terrestre, facendolo bruciare.

Allo stato attuale la prima missione non prevede il riciclo del “sequestratore”, che brucerà assieme al detrito spaziale, ma l’obiettivo futuro sarà quello di  immettere in orbita con un singolo lancio una squadra di pulitori, ciascuno dei quali sarà in grado di effettuare più recuperi.

Simulazione video, fonte Clearspace

Dal lancio del primo satellite, lo Sputnik-1 nel 1957, si sono accumulati 8400 tonnellate di rifiuti spaziali: il peso di 380 aerei di linea. Una discarica eterogenea per origine e dimensioni, in cui possiamo ritrovare intere stazioni spaziali, come la precipitata stazione cinese Tiangong-1 lunga una decina di metri, satelliti non funzionanti, stadi propulsivi dei razzi, bulloni, utensili andati perduti durante le missioni, il guanto di Edward White o scaglie di vernice. 

Questi oggetti rappresentano un grave pericolo di collisione per i satelliti operativi, i veicoli spaziali, le stazioni spaziali e gli astronauti stessi.  Questo vale anche per gli oggetti più piccoli a causa della loro altissima velocità orbitale. 

L’intera missione s’inserisce all’interno del progetto eDeorbit, che insieme a Ecodesign e Cleansat fanno parte dell’approccio ecologico sperimentato da Esa per preservare l’ambiente orbitale, mantenendolo privo di detriti, e investire in alternative più pulite rispetto agli attuali materiali e tecnologie dannosi. Le future missioni Esa saranno valutate in termini di impatto ambientale lungo tutto il loro ciclo di vita.

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