Bilancio positivo per la missione della Starliner. Nonostante il fallito aggancio alla Stazione spaziale internazionale (International Space Station, ISS), la navicella costruita da Boeing per la NASA ha eseguito correttamente decollo e atterraggio, fasi salienti di questo test sperimentale.

La missione di Starliner è iniziata venerdì 20 dicembre dalla base di lancio di Cape Canaveral in Florida. La navetta, dopo essere stata perfettamente lanciata dal razzo Atlas V, non è riuscita a raggiungere il livello orbitale previsto (la giusta posizione nell’atmosfera).
I motori della navetta non si sono accesi per un un malfunzionamento del timer di bordo. In altre parole, l’orologio interno segnava un’ora diversa da quella reale, i sistemi di bordo quindi hanno creduto di aver già acceso i motori.
Come ha spiegato Jim Bridenstine, amministratore di NASA, il pilota automatico ha tentato di correggere la rotta provocando un consumo eccessivo di carburante. Il propellente residuo era quindi insufficiente per tentare l’aggancio al complesso della ISS.
L’inattesa anomalia ha costretto gli ingegneri di Boeing e della NASA a riposizionare la navicella su un’orbita di sicurezza (per limitare i consumi di carburante) e a optare per un rientro anticipato (la durata prevista della missione era di otto giorni).
Domenica 22 dicembre, nelle prime ore del mattino, la navicella è atterrata nell’area di White Sands (New Mexico) senza alcun problema. I sistemi di rientro nell’atmosfera e di atterraggio (paracaduti e retrorazzi) si sono dimostrati all’altezza, decretando la missione un successo, nonostante il fallimento dell’aggancio alla ISS.
Questa risultato è estremamente importante per la NASA anche perché rappresenta il primo atterraggio soffice (non un ammarraggio) di una capsula progettata per gli esseri umani nella storia degli Stati Uniti.
Anche se non era presente nessun equipaggio a bordo di Starliner, un passeggero c’era: Rosie, un dispositivo antropomorfo posizionato al posto di commando, ha raccolto informazioni importanti sull’esperienza di volo per i futuri equipaggi grazie ai suoi quindici sensori.
Starliner fa parte del Commercial Crew Program (programma per gli “equipaggi commerciali”) della NASA, che ha come obiettivo la ripresa dei viaggi spaziali con astronauti a bordo. In seguito al pensionamento dello Space Shuttle nel 2011, solo le capsule russe Soyuz sono in grado di trasportare equipaggi verso l’orbita in cui si trova la Stazione spaziale, con passaggi che possono costare svariate decine di milioni di dollari.
Boeing e la startup di tecnologie spaziali Bigelow Aerospace, imprese che hanno realizzato la Starliner, sono aziende private entrate, assieme a SpaceX, nel programma commerciale della NASA.
Dopo la fine della Guerra Fredda, il clima di distensione politica ha concesso al settore privato di entrare in scena per la corsa allo Spazio: nel 2001 è partito il primo turista spaziale, e nel 2008 SpaceX ha lanciato il primo razzo finanziato da privati verso l’orbita terrestre.
Il ciclo di conferenze “Non voglio mica la Luna” organizzato dal Laboratorio Dos nell’ambito della mostra “Spazio 2019. Scienza e immaginario a cinquant’anni dallo sbarco sulla Luna” vuole affrontare e approfondire il tema delle nuove implicazioni geopolitiche ed economiche legate, tra l’altro, alla partecipazione dei privati negli investimenti spaziali.
Starliner attualmente è in viaggio verso la Florida per essere ricondizionata e utilizzata per la prossima missione NASA. Questo tipo di capsula può essere infatti riutilizzata per dieci volte, e per quest’ultima il prossimo lancio è previsto nella seconda metà del 2020 con equipaggio a bordo.
L’astronauta NASA Suni Williams, che volerà in quella missione, ha ribattezzato il veicolo spaziale ‘Calypso’, in onore della famosa nave esplorativa di Jacques Cousteau. “Amo quello che l’oceano significa per questo pianeta”, ha detto Williams, “Noi non saremmo su questo pianeta senza l’oceano. C’è così tanto da scoprire nell’oceano, e c’è così tanto da scoprire nello spazio.”
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